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La scoperta dei ricercatori dell'IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza
I ricercatori del dipartimento di Scienze Mediche dell'IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza - coordinati dal dott. Gianluigi Mazzoccoli (medico-ricercatore) e dal prof. Maurizio Scarpa (responsabile coordinamento malattie rare) - hanno realizzato una ricerca che potrebbe aiutare i pazienti affetti dalla sindrome di Hunter, una rara malattia metabolica ereditaria che può causare anomalie alle ossa, alle articolazioni, dimorfismi facciali, difetti cardiaci e respiratori, iperattività, alterazioni del comportamento e talvolta difficoltà di apprendimento.

Il ritmo circadiano di questi pazienti sarebbe alterato, secondo quanto riportato su BMC Medical Genomics, a causa dei geni "clock" che controllano i ritmi circadiani (le funzioni biologiche ed i cicli comportamentali che variano ritmicamente nell'arco delle 24 ore). L'espressione di questi geni è infatti deregolata nei pazienti dall'accumulo tossico di sostanze che, a causa della malattia, non possono essere smaltite. I geni clock sono espressi in maniera anomala e questo porta le cellule a perdere il ritmo che regola la proliferazione, la riparazione dei danni al DNA, la risposta infiammatoria e i processi legati all'invecchiamento. Ed è proprio per questo che l'orologio circadiano non riesce più a gestire il corretto ritmo sonno-veglia, e infatti i bambini affetti da questa rarissima patologia (1 neonato su 100mila) soffrono di iperattività e alterazioni del comportamento, un problema che di solito viene contrastato tramite la somministrazione di melatonina, principale regolatore dei ritmi del sonno.

 

«Questa scoperta - spiegano i due ricercatori - è importante per almeno due motivi. Il primo è che l'espressione scorretta dei geni clock è un indicatore di malattia e ci permette di capire che la Sindrome di Hunter è una patologia molto più complessa di quello che sembra. Il secondo è legato alle possibilità terapeutiche: abbiamo scoperto che in seguito alla somministrazione della terapia enzimatica sostitutiva (ERT) l'espressione dei geni clock e dei geni da essi controllati tende a migliorare, anche se temporaneamente, in relazione alla durata di azione dell'enzima. Anche se per ora abbiamo testato questa dinamica unicamente a livello cellulare, molto si sta facendo per offrire ai paziente una terapia che possa agire anche a livello tissutale, ed in particolare a livello cerebrale, andando a riequilibrare l'espressione genica. La sperimentazione sulla ERT con infusione tramite catetere è oggi in corso, quindi si spera che presto i paziente potranno beneficiarne».

Inoltre, la correlazione quantitativa tra il malfunzionamento dei geni controllati dall'orologio biologico e l'accumulo lisosomiale sembra essere presente anche in altre patologie metaboliche, come nelle due forme di Niemann-Pick A e B, per le quali però si attendono ancora conferme scientifiche. Per comprendere tutte le prospettive terapeutiche della scoperta bisogna pensare ad uno studio più ampio e approfondito.

Sabato, 02 Novembre 2013 19:39

Tarantalla sangiuvannara di Paolo De Angelis

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Michele Pirro: ...lo ritrarrei seduto ad un tavolo di lavoro con attorno i suoi cari e con in bocca l’eterno, inseparabile, mozzicone di sigaro...


scrivere un articolo che ri­guarda il caro Michele Pirro mi rende immensamente fe­lice e, per due motivi, ne faccio an­che un dovere.

Sono felice ricordare quella figu­ra simpatica di uomo, di padre e di artista.

Era piccolo di statura ma grande di cuore e di animus. Aveva in sé u- no strano modo di comportarsi. E- ra attento e metodico nelle sue co­se tanto da sembrare pignolo. Era geloso delle sue creature e le cura­va con infinita attenzione.

Scrivo di Michele Pirro con senso di affetto e di simpatia senza ag­giustare niente e senza ingrandire niente. Era una persona che si fa­ceva rispettare e stimare. Per que­sto mé ne faccio anche un dovere scrivere un articolo che, spero ven­ga letto senza critiche e senza sor­risi. Michele Pirro era così: religio­so, padre di famiglia, uomo civile e retto, artista semplice e spontaneo perché le sue melodie appartengo­no a tutti, alla realtà, alle persone ed al tempo. Dico tempo per signi­ficare passato, presente e futuro del nostro paese. Mi auguro, oggi, che queste melodie non vengano dimenticate, ma tramite i giovani, siano tramandate al futuro.

È mio dovere ricordarlo agii ami­ci che lo conobbero, che hanno vis­suto insieme ansie, gioie e dolori, che hanno superato stenti, paure e miserie e che hanno gioito nell’a- scoltare La Zita mia, Lu Squar- cione, La tarantalla sangiu­vannara e altre melodie.

Lo ricordo a chi con lui ha concer­tato e cantato, a chi ha ascoltato la sua chitarra, la tromba che ha suo­nato con passione fino a quando il fiato ha sorretto. Gli anni passano per tutti, e si fanno sentire.

Non ho mai cantato per lui le sue canzoni perché a me non piaceva vestire il bel costume antico, ma mi sono sdebitato con lui perché ho portato le sue belle canzoni nella scuola dove i bimbi si sono delizia­ti a cantarle. Me lo ricordo ancora seduto nel salone del teatro1 delle suore, martedì 21 giugno 1966, in occasione della festa per i maestri che andavano in pensione, quando sentì cantare la Tarantalla san­giuvannara da settanta bambini di 3-, 4- e 5- classe elementare. Ri­cordo ancora l’espressione del suo viso. Era l’espressione di meravi­glia, di gioia e di soddisfazione.

Dopo la recita venne a salutarmi e vidi, e mi è rimasto impresso, nei suoi occhi piccoli, furbi e intelligen- ti, una gioia infinita. Ho guardato dentro quegli occhi ed in essi ho vi­sto rispecchiare l’animo gentile di un bimbo.

Belle cose che appartengono al passato ma che ti fanno rivivere in esse. E un dovere additarlo ai gio­vani perché imparino ad amare il lavoro come lo amava lui seria­mente, perché il lavoro è fonte di ricchezza materiale e spirituale. Egli era semplice e gentile, sempre pronto al sorriso. Si è fatto da solo. Ha studiato la musica nelle poche ore libere e siccome era un attento osservatore, i suoi versi descrive­vano bene ciò che gli succedeva at­torno.

Michele Pirro amava poche cose con tutte le sue forze: Dio, la fami­glia e il suo paese che adorava, gli amici che stimava e rispettava e le sue creature che aveva dentro di sé: la musica e la poesia.


5° CONCORSO “FOTOGRAFIA ON-LINE”

2013

1° - ARCH. NARDELLA MICHELE

2° - LEGGIERI LUCIA

3° - DI MAGGIO ANNA PIA

36a edizione “Natale in famiglia con il Presepe”

2012

Giovedì, 11 Ottobre 2012 08:42

Il Curlo

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Di legno, conico, grande meno di un pugno, da noi è detto curie, spentone compreso, il perno, gra­zie al quale era destinato a prilla­re e che un fabbro indulgente ci ap­prontava con pochi soldi ricavan­dolo da una lima consunta; e pote­va essere in tre modi, lana, penna e trabete, quanto dire leggerissi­mo, leggero e trepido nel senso que­st’ultimo dell’etimo latino trepi- dus, agitato, inquieto, affaccenda­to/precipitoso.

 

L’ideale e il più era il lana, del penna ci si poteva accontentare, non così dell’ultimo, deprecabile, una disgrazia. Tutto dipendeva dalla qualità dello spentone e da co­me lo si ‘nzaccava (conficcava) nel curie.

 

Per ottenere un curie lana il per­no voleva essere fatto ad arte e messo al suo posto a dovere, giusto e perpendicolare nel vertice.

 

A quest’ultimo scopo soccorreva­no le “zeppe”, di frammenti di fu­scello, sterpo, carta, ma special- mente di pizzichi di “materiale” che, biondo scuro, umidiccio e più trattabile perla sua morbidezza, a- veva per giunta il potere, così si di­ceva, di garantirti il non plus ultra del giocattolo.

 

Non -si- esitava a raccoglierne né si durava fatica a trovarne.

 Lana, penna e trabete.

Com’erano precisamente e come si comportavano, a cominciare dal­l’ultimo per venire a ritroso al pri­mo e più ambito.

 

Il trabete, detto subito, faceva spettacolo. Scagliatolo al suolo, fa­cendone sgomitolare con uno strappo la zaiagghia, ossia la cor­dicella con cui lo si era avvolto strettamente a cominciare dal per­no, esso si metteva a scorrazzare prillando malfermo, a saltelli e con rumore, scalciando brecciolino e granelli di terra.

 

Strafaceva, avresti detto,non sa­pendo “lui” stesso dove volesse an­dare (“lui”, che dava l’impressione di un ragazzotto che si fosse fatto largo per mostrare com’era bravo), e bruciava così le proprie energie.

 

Prillava, correva qua e là, e face­va r-r-r, rurava,sul terreno piano, pesto e compresso, e non durava. Rallentando la corsa disordjnata, di lì a non molto, difatti, era esau­sto, vacillava ebbro e crollava, fi­nendo rotoloni per terra. Esanime. E non bastava al piccolo proprieta­rio la delusione, aggiungendosi a questa le risate e i commenti dei compagni, senza tuttavia che l’u­miliato se la prendesse col “mate­riale”, nel cui potere di favorire un comportamento più dignitoso del giocattolo si credeva, a dir vero, per meno innato amore del fingere e del fantasticare, come alle storie di Mamurco, delle paure e dello scaz- zamuredde.

Non tale da appagare del tutto ma accettabile era invece il com­portamento 

 

 

 

Giovedì, 11 Ottobre 2012 08:39

DALLA SAGGEZZA POPOLARE: I PROVERBI di Mario Ritrovato

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 Stabilire la data ed il luogo di na­scita di un proverbio è una impre­sa pressoché impossibile.

 

Antico quanto il móndo, racchiu­de tutta l’esperienza e la saggezza popolare nel breve cerchio di una massima. Il più delle volte è e- spresso in poesia e in rima, per aiu­tare la memoria, e non costituisce una legge poiché non è raro trovar­ne alcuni contraddittori, sbagliati eticamente discutibili.

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